Potrebbe sembrare un contraddizione, ma la minaccia di esercitare un diritto può anche raffigurarsi come tentata estorsione.
E’ quanto decreta la Suprema Corte (Sent. 48733 del 17/12/2012; Cass. 16618/2003 Rv. 224399) allorquando stabilisce che “in tema di estorsione, anche la minaccia di esercitare un diritto, come l’esercizio di un’azione giudiziaria o esecutiva, può costituire illegittima intimidazione idonea ad integrare l’elemento materiale del reato di estorsione, quando tale minaccia sia finalizzata al conseguimento di un profitto ulteriore, non giuridicamente tutelato”.
Con questa Sentenza i Giudici di legittimità si sono soffermati sul concetto di minaccia utile a integrare i presupposti del reato di estorsione.
Come è noto, la minaccia necessaria per integrare gli estremi dell’estorsione (o della tentata estorsione) consiste nella prospettazione di un male futuro e ingiusto, la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente.
Quindi, l’esercizio di un diritto, o la minaccia di esercitarlo, quali indubbiamente sono il concreto esercizio di un’azione giudiziaria o esecutiva o anche la minaccia di tali iniziative, non presentano, di per sé, i caratteri della minaccia necessaria per l’astratta configurabilità del delitto di estorsione.
Ma tuttavia, se l’esercizio del diritto o la minaccia di esercitarlo sono volte a realizzare un vantaggio ulteriore e diverso da quello spettante, il pregiudizio che si prospetta al soggetto passivo mira ad ottenere una pretesa ulteriore ed estranea al rapporto sottostante.
Dunque, non ogni prospettazione alla controparte o a persona terza di un’azione giudiziaria deve essere considerata come minaccia: è tale solo quella che è finalizzata a conseguire un profitto ulteriore ed ingiusto, in quanto il discrimine tra legittimo esercizio di un diritto o la minaccia di esercitarlo è da individuarsi proprio nell’ingiustizia del profitto che si intende realizzare.
Altre Sentenze sul tema ci vengono fornite da altre Pronunce (Cass. 273/1970 Rv. 115339; (Cass. 5664/1974 Rv.88648; Cass. 7380/1986 riv. 173383) le quali ribadiscono il concetto secondo il quale: “la minaccia idonea a configurare il delitto di estorsione può assumere forme ben diverse, come quella della prospettazione di azioni giudiziarie, che si traduce in un male ingiusto nel caso di pretestuosità della richiesta, o come quella della denunzia penale, che si rivela ingiusta quando la utilità in cui si concreta non sia dovuta e di ciò l’agente sia consapevole”.
Pertanto, si può affermare che il concreto esercizio di un’azione esecutiva oppure la prospettazione di convenire in giudizio il soggetto passivo o di un’azione esecutiva costituiscano una minaccia e, dunque, una illegittima intimidazione idonea ad integrare il delitto di estorsione alle due seguenti condizioni:
a) la minaccia deve essere finalizzata al conseguimento di un profitto al quale non si abbia diritto;
b) l’agente deve essere consapevole dell’illegittimità o della pretestuosità della propria condotta, anche se l’illegittima pretesa venga fatta valere in modo apparentemente legale.
La vicenda che ha portato a questa importante Pronunciamento è la seguente.
Il titolare di un’impresa di pulizie emette fatture false per la realizzazione di lavori di manutenzione e pulizia per niente o in parte effettuati, e successivamente si reca presso studi legali minacciando di intentare procedimenti legali come decreti ingiuntivi e pignoramenti, al fine di ottenere i compensi per i presunti lavori. In sostanza, l’uomo chiedeva il pagamento dell’importo indicato nel falso documento con la prospettazione, in caso di mancato pagamento, di procedere secondo legge o di esperire la procedura ingiuntiva ovvero richiedendo l’emissione del decreto ingiuntivo.
Secondo i giudici tale comportamento integra il reato di tentata estorsione, e non è condivisibile la linea difensiva secondo cui, in assenza di minacce volte alla coercizione delle persone non vi sarebbe responsabilità penale.
Nel caso di specie invece vi era la minaccia di esercitare azioni legali.
Nonostante quindi, il Giudice rappresenti “La Sede” in cui le ragioni di parte trovino tutela (sicché la persona offesa non avrebbe nulla da temere dal contraddicono processuale),
la realtà dei fatti fa vacillare questi convincimenti. In quanto le concrete dinamiche processuali possono rendere qualsiasi vicenda giudiziaria aleatoria, oltre al fatto di comune esperienza, che il processo costituisce una pena, e, quindi, un danno, sia in termini economici che di stress emotivo per entrambe le parti.
Pertanto deve ritenersi che l’ingiustificato coinvolgimento in un’azione legale, già avviata o anche solo prospettata, costituisce, per chiunque sia consapevole dell’ingiustizia della pretesa, una minaccia tale da far delineare gli estremi dell’estorsione.