Il reato di diffamazione mediante Facebook

La Cassazione stabilisce che è reato diffamare tramite i social network anche se non si fanno i nomi.

Con la pronuncia (n. 12761 del 16 aprile 2014), la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione integra il reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. .
Se già all’art. 595 c.p. prevedeva e stabiliva le ipotesi di diffamazione, a questi dettami va aggiunto un elemento nuovo, ovvero la diffamazione tramite Facebook.
Ad integrare quindi il reato di diffamazione secondo cui “chiunque offende … comunicando con più persone”, oppure “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico”, o ancora, “offende … un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio”, si è aggiunta la Sentenza n. 12761 secondo cui “Il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due”.
In senso opposto si era espresso in precedenza il Tribunale di Gela, secondo il quale invece “attraverso Facebook (ed analoghi social network) si attua una conversazione virtuale privata con destinatari selezionati”, per cui la comunicazione non può dirsi “particolarmente diffusiva e pubblica”, in virtù del fatto che per accedere ad un profilo Facebook è necessaria la richiesta e/o accettazione della c.d.“amicizia”, ovvero il consenso del titolare del profilo il quale autorizza solo la cerchia ristretta di soggetti o gruppi che desidera accettare. (Trib. Gela, 23/11/2011, n. 550).
Ma Sentenze successive, come la 32444/2013, tornano ad attribuire il ruolo fondamentale al concetto di “illimitatezza” del spazio web, quindi, come un luogo potenzialmente sconfinato aperto al pubblico ovvero “uno spazio web attorno al quale, comunque, si aggregano navigatori che condividono interessi comuni, con la conseguente diffusività dei contenuti del blog stesso” (Cass. pen., sez. V, 25.7.2013, n 32444).
In conclusione, la Suprema Corte ha sancito che offendere una persona “anche senza nominarla direttamente”, ma indicando particolari che possano renderla identificabile, su social blog, forum e portali di aggregazione, equivale alla diffamazione punita dal Codice Penale.
Aggiungendo ancora che: “Ai fini di detta valutazione non può non tenersi conto dell’utilizzazione di un “social network, a nulla rilevando che non si tratti di strumento finalizzato a contatti istituzionali tra appartenenti allo stesso corpo militare di appartenenza dell’autore della pubblicazione “online”, né la circostanza che in concreto la frase pubblicata sia stata letta soltanto da una persona”.
D’altro canto, ai fini dell’integrazione del reato di diffamazione, è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa. (Sez. V, 20/12/2010, n.7410).

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